Che la passione della lettura gliela abbia trasmessa lui, si sa. E visto che lui, a differenza di lei, è meno curioso e più metodico, generi e autori sono, più o meno, sempre gli stessi: Thriller o spy story. Libri di quelli medio lunghi, scritti più o meno bene da qualche autore americano famoso, se con un po’ di storia meglio, con viaggi e spostamenti ancora di più. Qualche novità, premi vari e la scelta tra i due punti di maggior riferimento, va così, da almeno quarant’anni, a memoria di libraia. La libreria della cittadina di mare, (nella sua città, all’epoca, era soltanto una, indipendente e sempre attiva e aggiornata, ma troppo di sinistra per lui) e quel che si ritrovava nel mitico Club degli editori. Quella vendita per corrispondenza che -per anni- la libraria si domandava perché non fosse il club dei lettori. Il postal market dell’editoria a cui lui era abbonato e di cui lei, già avida lettrice, sfogliava il catalogo, attendendo le sue scelte. Scelte dal gusto maschile, ovviamente, come quei film che guardavano insieme, in cucina, i lunedì sera degli anni ’80, dove lei, un po’ preoccupata e con il fiato sospeso, guardava inseguimenti sparatorie e lui, candidamente, le raccontava come sarebbe andato a finire.
A quei tempi, pendeva dalle sue labbra: come se la capacità di prevedere l’epilogo del film fosse pari a quella di immaginare l’avvento del cellulare. Vabbè. Quindi, quando la libraia, esauriti i classici, i libri letti per gli esami di letteratura, quelli che c’erano nella libreria dei nonni, quelli prestati, quelli consigliati, quelli scelti con cura nelle piccole o grandi librerie vicino alla facoltà, quando aveva voglia di qualcosa di diverso, di una sosta meno impegnativa, di qualcosa di leggero, di un romanzo rilassante, di azione, insolito, magari perfetto da portare in spiaggia, andava da lui e gli chiedeva un suggerimento o ne sceglieva uno a caso tra gli scaffali della sua libreria. Ha scoperto così Ken Follett e le sue saghe, Wilbur Smith e le sue storie, e altri di cui, oramai, neanche ricorda i nomi. Così, due giorni fa, esaurita la scorta di libri e in attesa di un rifornimento non pervenuto, in crisi di astinenza si è rivolta a lui. Un po’ scettica che certi libri non le piacciono più ma spinta dal bisogno impellente di avere un volume tra le mani.
Papà, ce l’hai un libro da prestarmi? Certo, ha detto lui, già correndo a prendere due proposte. Orgoglioso di condividerle. Uno era un giallo e, a parte quelli di Agathe Christie, la libraia non ne legge. Si spaventa. Troppo. E dunque, restava l’altro. 270 pagine, con quel titolo che le ha fatto pensare ai Kennedy non alla letteratura chissà perché, e quell’autore conosciuto dai più al cinema, per le sceneggiature ispirate ai suoi romanzi. Poteva andare. Meglio del previsto.
Toglie la copertina per non rovinarla e inizia a leggere senza nulla sapere della trama. Bingo. Questa volta Grisham il libro l’ha scritto per lei. Il caso è il furto dei manoscritti di Fitzgerald e la chiave di volta è una piccola libreria indipendente di una sconosciuta isola, con una giovane autrice a cercarne indizi. Così il libro scorre piacevole. Come la scoperta di un Grisham autore di libri per ragazzi perché non sopportava il successo di Harry Potter. A metà pagine la libraia non ha ancora intuito la fine ma questa volta sa che non chiederà informazioni e si godrà la scoperta.
Perché quale altro è il vero, profondo, sincero piacere della lettura, se non avvertire piacevole l’istinto di voltare pagina?
Di politica e polemica. Osservando con spirito critico.
Un tempo non ci vedevano perché c’era il dehor, ora ci vedono ma non ci hanno visto arrivare, perché siamo