“La Banca d’Italia ha documentato che se solo riuscissimo a portare la quota del lavoro femminile al 60 per cento, come fissato dagli accordi europei di Lisbona, il nostro pil farebbe un balzo in avanti del 7 per cento. Non avremmo bisogno di nulla per trovare i soldi per fare gli investimenti, rimettere in moto l’economia e ridurre le tasse. “
Termina così la lettura di un articolo, tra i tanti, dedicati a donne e lavoro e più precisamente maternità e lavoro che, se da un lato ti rincuora dall’altro ti addolora, ma è l’incipit a fare male davvero: “Trentamila donne, lo comunica l’Inps, si sono licenziate, nel corso del 2016, delle quali solo 5mila per cambiare azienda. E le altre 25mila? Hanno avuto un problema: l’impossibilità di fare il mestiere di madre. La mancanza di aiuti, dall’asilo a un sostegno quotidiano, sui quali fare affidamento durante l’orario di lavoro. Una violenza bella e buona, certificata da questi dati: alle donne che lavorano, in Italia, non è consentito fare figli.”
L’articolo (Donne, in 25mila lasciano il lavoro per un figlio, ma in 5,5 milioni rinunciano alla maternità, Milano post, 11/01/18) è dello scorso gennaio. La libraia, quando ha aperto la libreria, due anni e mezzo fa oramai, ha scelto di fare i conti con i conti. Ha cambiato lavoro, creato una ditta, aperto la sua posizione alla cassa artigiani, versato i contributi, pagato un’assicurazione e ha creato un luogo. Di incontro, di scambio, di cultura. Di compagnia. Di crescita. Ha attivato un circolo di collaborazioni. Ha pagato, investito, fatturato, non guadagnato. Ha gioito, creduto, pianto, riso. Ha sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia che l’ha seguita. Ha creato un posto: riconosciuto e riconoscibile. Ha creato un luogo. Uno spazio. Una modalità di impresa al servizio del quartiere e di chi lo vive.
Ha osato, come altre donne prima e dopo di lei.
Ha realizzato, nel piccolo microcosmo di una piccola strada, di un medio quartiere della capitale, un esempio virtuoso di cosa accade se una donna osa. Se una donna si realizza. Come donna e come lavoratrice.
Ha dimostrato che il sesso debole può.
Che le donne libere di esprimersi possono essere linfa vitale del nostro paese.
Oggi come ieri.
Così, oggi, dopo mesi di tentennamenti e pensieri, di conti e resi, di progetti e pensieri, di notti in bianco e mal di pancia, oggi, il giorno dopo quella festa del lavoro così poco capito e rispettato, così poco noto a chi ne gestisce leggi, diritti e doveri, festeggia la sua la sua prima assunzione a tempo indeterminato. Lo fa tremante e consapevole. Lo fa orgogliosa e timorosa. Lo fa spaventata e fiduciosa. Una micro impresa al femminile, una ditta individuale che lo stato tratta come se fosse una S.p.A. quotata in borsa oggi, controcorrente, ha assunto. E ha assunto l’indicibile: una donna, in età da figli, con un contratto a tempo indeterminato. Lo ha fatto ponderando i pro e i contro e, alla fine, è andata di pancia. Un contratto: cioè un impegno, un’assunzione di responsabilità piena. Poteva fare altro, poteva continuare di stage e prestazioni, poteva assecondare quella seduttiva proposta che lo stato, il socio occulto, le fa ogni volta che a fine mese fa i conti e i conti non tornano. Eppure ha scelto. Di credere e rischiare. Di pensare di potercela fare. Di rinunciare a qualcosa e di investire. Ancora. Perché lunedì, mentre passeggiava per le vie della sua città, ha letto una frase che l’è tornata in mente: chi ha, metta; chi non ha, prenda. E allora ha pensato a suo nonno e a quel suo fare impresa per un territorio, a suo nonno e a quel benessere condiviso con la sua terra. A suo nonno e a suo marito e a tutti coloro che, avendo, hanno dato. Perché tutto circolasse, perché tutto crescesse, perché nulla ristagnasse ma andasse. Ecco, non sempre le cose vanno come devono andare. Non sempre le scelte di pancia mantengono le promesse, non sempre quelle imprese reggono, ma quei gesti restano, quelle eredità continuano, in altri modi e in altre forme. Chi non fa, non sbaglia. E lei, oggi, non poteva non fare. Con la speranza di non sentirsi mai sola per la strada scelta.
Di politica e polemica. Osservando con spirito critico.
Un tempo non ci vedevano perché c’era il dehor, ora ci vedono ma non ci hanno visto arrivare, perché siamo