Una storia semplice dai sentimenti grandi.
Una storia piccola e corale.
Una storia dolcissima. E struggente.
Il piccolo Momò, arabo nella periferia di Parigi, ha 10, 50 o 100 anni e narra di una quotidianità e di una comunità “irregolare e non normale” ma dal cuore umano.
Sembra quasi non accadere nulla nella vita di Momò, ospite di Madame Rosa, che – con i suoi 95 kg – occupa costantemente la scena. Madame Rosa è un ex polacca, un’ebrea che parla correntemente arabo, una sopravvissuta ad Auschwitz, una vecchia prostituta. Ed è una madre adottiva, per i figli delle prostitute come lei, che accoglie.
La storia si snoda tra gli accadimenti della vita di ogni giorno.
Ed è semplicemente deliziosa.
Una miriade di personaggi tutti tratteggiati con profondità.
La sensibilità di Momò ne coglie i sentimenti più veri. Ne rappresenta il volto più autentico: con lo sguardo spiazzante e irriverente dei bambini. Senza filtri.
Chi sia lui, chi siano i suoi genitori, quale sia la sua storia è solo accennato, disseminato tra indizi e mezze frasi che rimandano al seguito del romanzo.
Intorno la comunità multietnica che abita il palazzo. Dove riti, tradizioni e culture si mescolano.
Le ultime cinquanta pagine sono tra le più belle lette negli ultimi anni.
L’autore, suicida a 40 anni, tocca punte di lirismo. Dipinge con grazia rara i temi più dolorosi e potenti della vita. Il dolore, gli affetti, le separazioni.
Si versano lacrime copiose e piene.
Una scrittura che ricorda Agnes Browne mamma.
Una capacità umana di accoglienza e solidarietà che rimanda ad altri tempi, ad altri mondi di cui – mai come oggi – avverti la mancanza e percepisci l’esigenza.
Su tutto, un’ironia che stempera, sublima, che sposta su piani altri le faccende complicate.
In una prosa che l’autore domina come se mettesse in scena una rappresentazione: gli a parte, le didascalie, le scenografie.
Viene voglia di leggere gli altri titoli di Roman Gary, vincitore del Premio Goncourt, viene voglia di rileggere i Miserabili di quel Victor con tanta familiarità presente nella storia.
Viene voglia di mettersi da parte le riflessioni sulla vita, la morte, la dignità, sulla medicina.
Viene voglia di custodirlo sul comodino questo inno alla vita.
Per ricordarsi che ogni istante è prezioso.
E unico.