Lo avevamo scritto prima di Natale, suggerendo piccoli gesti per sostenere le librerie che amiamo.
Perché le librerie vanno curate e notate quando sono aperte e non troppo tardi quando chiudono.
Nel dolore di una libreria che chiude emergono elementi interessanti di riflessione.
I numeri, bassi, reali, drammatici, che sono i nostri.
Gli anni di apertura, che sono la misura della resistenza e 25 anni sono tanti e abbracciano anche anni più facili.
La consistenza del mercato che è effimera, perché, questa è la triste verità, la domanda non esiste.
La burocrazia che rende un esercizio di prossimità oberato di pratiche e costi insostenibili. E non sono solo gli affitti.
Sono un prezzo imposto in cui voler e dover far rientrare pacchetto, busta, affitto, utenze, irap, inail, acconti vari su fatturati presunti, rotolino pos, registratori di cassa, commercialista, assicurazione, insegna.
La fatica.
Quella di stare otto ore al pubblico che diventano dodici, il lavoro di comunicazione e promozione, la lettura, gli incontri con gli autori. Il dietro le quinte che pochi immaginano e che non si recupera mai.
La fatica non nota e non retribuita che coinvolge le persone che ci sono intorno.
La certezza di tutti i sabati aperti, a volte anche la domenica mattina e lo stupore per un’apertura più comoda la mattina o per un giorno di riposo a cui quasi tutti rinunciamo.
E infine il precariato.
Quello di cui parleremo il 10 gennaio e che sentiamo così vivo e nostro, perché nulla è più precario del lavoro di chi è indipendente, autonomo, libero.
Troppi anni senza pensare a noi, scrivono i colleghi della Odradek, ed è vero, perché si gioca tutto lì, in quella passione che fa a pugni con il resto, che strappa il cuore, con quella rabbia profonda quando realizzi che combatti contro i mulini a vento.
Perché il problema vero, profondo, il cancro più brutto è la consapevolezza che non ci siano lettori e che i bonus, i bandi, le carta docente, sono meri tentativi di fumo negli occhi.
La cultura ha bisogno di contributi, è vero ma la cultura, prima, avrebbe bisogno di un piano nazionale di promozione della lettura.
Non ci sono lettori nel nostro paese, perché non vogliamo che esistano.
Non ci sono persone abituate ad avere un libro in mano, a portare un libro in borsa, a dedicare dieci minuti, ogni giorno, a quella che dovrebbe essere pratica consolidata in un paese come il nostro.
E i lettori nascono se si vuole e crescono con la sinergia di una filiera, che in Italia non c’è.
Abbiamo una necessità di un antitrust in un mercato che pubblica, distribuisce e promuove, in una discesa di qualità che resta l’unica costante.
Avremmo bisogno di imporre un freno ad Amazon perché distorce le leggi della logistica, dei costi, dei tempi, dei resi, dei minimi d’ordine.
Avremmo bisogno di un interlocutore istituzionale, il Cepell ma anche i ministeri di Istruzione e Cultura, che riconoscessero il ruolo del libraio, l’impatto di un esercizio culturale nella crescita della comunità.
Abbiamo visto, qualche settimana fa, un documentario su Luigi Berlinguer.
Diceva che il ministro dell’Istruzione dovrebbe avere le mani rotte a furia di battere i pugni perché di cultura, nel nostro paese, non interessa a nessuno.
C’è bisogno di una rivoluzione semplice.
Mi auguro un 2023 con un piano di promozione della lettura pubblico, nazionale, concreto.
10 minuti di lettura nelle scuole, ogni giorno
E poi, magari, nei ministeri, nelle aziende.
Sarebbe un cambio epocale, radicale.
Ma sono utopie che coltivano solo i librai, quelli indipendenti che ci provano, che investono, che non rientrano dei costi ma ci credono fino a quando, a un tratto, il respiro viene a mancare e gettano la spugna.
Concludo con una note a margine.
Enrico Mentana propone una sottoscrizione tra amici e clienti della libreria ormai chiusa. È una proposta arrivata anche qui, da tempo.
È una proposta bella, generosa ma che fa male.
Sa di elemosina, scavalca la dignità di una professionalità che non ha un albo ma esiste.
La sottoscrizione, destiniamola alle scuole, alla creazione di biblioteche. Alla donazione di spazi di incontro, alla definizione di piani integrati di letture nelle scuole.
Prodighiamoci perché si lascino i cellulari fuori dalle classi e si introducano libri belli di narrativa.
Avrà più senso, per tutti.