Sono giornate senza soluzione di continuità. Dalleottoalleventi. Senza un attimo per vedere la posta, inviare un messaggio o rispondere. Scusateci. Sono giornate sospese in cui tutto è rimandato. Necessariamente. Camminiamo lenti. Non programmiamo le attività, non scriviamo, non ordiniamo libri o giochi, viviamo in un limbo strano tra la vostra e la nostra ripresa. Siamo attivissimi ma sospesi. Attendiamo forse, diciamocelo, la sana routine dall’inizio della scuola che scandisce i tempi di tutti. Che mette ordine e regole.
Oggi eravamo al terzo giorno di centro estivo. In una settimana che sembra non finire mai. Ed è stata una giornata speciale. Dove abbiamo imparato tanto. Mentre l’ansia rodeva la libraia perché eravamo 13 in uno spazio troppo raccolto, mentre pensava che non eravamo una scuola né una ludoteca e per questo facevamo più fatica, mentre per la quinta volta spostavamo sedie e tavolini, (accoglienza, gioco, pranzo, gioco, pasta di sale, gioco) si è finalmente accorta che c’era altro. E non era poco. Che l’ansia era sana ma non poteva predominare. Oggi c’era che tutti i bambini – dai 3 agli 8 anni – si sono fermati incantati ad ascoltare storie. Attenti e concentrati ne hanno chieste ancora e ancora. I 4 volumi di Cornabicorna, Pino ha perso le parole, Il mostro che amava le storie per dirne alcuni. Erano talmente assorti che il nonno di Ale, arrivata da ieri per inimmaginabili passaparola, è rimasto a guardarli stupito, fermo sulla soglia, in punta di piedi, quasi timoroso di avvicinarsi per non guastare quella bellezza e nel mentre il nipotino piccolo, due anni di uomo, gli ha detto deciso: “io mi tolgo le scarpe e vado li”. E così è stato. Oggi mi sono accorta che quello che Giovanni ha fatto a ora di pranzo, è stato un vero comizio di incoraggiamento alla squadra gialla delle arance che forse, diceva accorato, poteva fare di più, magari provando a essere meno triste e mai ho riso così tanto. Che quella tavolata così allegra e variegata, colorata e animata era uno spettacolo unico. Mi sono accorta che non c’è nulla di più bello – e prezioso – che imparare a fare la fila per lavarsi le mani. Stare insieme grandi e piccini. Tenere il passo o tendere la mano. Che i ritmi sono importanti e vanno rispettati. Che se un grande arriva prima all’uscita, si siede con noi a fare la canzone dei saluti. Perché le cose si aprono e si chiudono bene. Prendendosi il tempo che serve. E questo ci servirà sempre nella vita. Che non siamo una ludoteca, come mi ha detto qualcuno quest’estate con tono un po’ così, tra lo sbrigativo e il riduttivo, dimenticando il valore altissimo del gioco per un bambino. Perché se davvero lo fossimo, saremmo orgogliosi di trascorrere otto ore insieme senza un cellulare in mano. Dedicandoci a costruzioni o al giro di prova del gioco delle sedie. Ai colori e alle canzoni. Al facciamo finta che. Poi la giornata scorre e, dal centro estivo, entri nella libreria. Senza passare dal via. Senza il tempo per una boccata d’aria. Passi il lettore ottico sui libri che stai inventariando e ripensi alle pance appena scoperte dopo l’estate. A quelle che stanno per lasciare il posto ai nuovi nati. Pensi a quando esci per tornare a casa e sono altri saluti. Perché come fai a non chiedere alla nonna per chi è quel regalo. Come fai a non domandare a Valeria cosa le piace o alla mamma che fa un regalo per il suo bimbo di tre mesi come si chiama e come si sente. È così, non ci sono clienti che conosci ma amici della libreria: volti, persone, nomi. E se li incontri per strada non puoi che fermarti per un saluto e due chiacchiere. E allora puoi andare a dormire, stanco ma contento. Aspettando il ciambellone della mamma di Niccolò, che come tanti di voi ci ha scelto. E domani ci coccolerà così
Di politica e polemica. Osservando con spirito critico.
Un tempo non ci vedevano perché c’era il dehor, ora ci vedono ma non ci hanno visto arrivare, perché siamo